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Nell’abisso

Guy Bourdin dalla serie Mise en abyme
pubblicità per il marchio di scarpe Charles Jourdan, primavera 1978

C’è un’espressione usata per indicare uno stragemma narrativo nell’arte: MISE EN ABYME , dal francese “messa in abisso”.

Significa collocazione nell’abisso.

E’ un termine introdotto da André Gide per indicare un espediente narrativo che prevede la ripetizione di una sequenza di eventi o la collocazione di una sequenza esemplare che condensi in sé il significato ultimo della vicenda in cui è collocata e a cui rassomiglia.

Nella pittura e nella fotografia, l’espressione indica una tecnica nella quale un’immagine contiene una piccola copia di sé stessa, ripetendo la sequenza apparentemente all’infinito. Trae origine dal linguaggio araldico e  sta a significare la ripetizione di una stessa figura dentro il campo di uno stemma nobiliare che viene riprodotta più di una volta, sempre più, ma sempre uguale e sempre all’interno di se stessa, come nelle scatole cinesi.

In letteratura la – mise en abyme – indica un particolare tipo di  “storia nella storia”, perché la storia a livello più basso riassume alcuni aspetti della storia di livello più alto.

Un esempio stupido tratto dalle mie reminescenze della vita liceale: due amici si incontrano e…

-Dove Vai?- -Al Cinema.- -A vedere cosa?- -Quo Vadis- -Che cosa vuol dire?- -Dove vai?- -Al cinema….

o anche…

“C’era una volta un re, seduto sul sofà, che disse alla sua serva “raccontami una storia!” E la storia incominciò: “C’era una volta un re, seduto sul sofà, che disse alla sua serva “raccontami una storia!” E la storia incominciò. …

Maurits Cornelis Escher, Drawing hands, 1948
Rene Magritte, Les deux mysteres

Johannes Gumpp, Autoportrait, 1646
Norman Rockwell, Triple autoportrait, 1960
Henry Lartigue

Il tema dell’artista che rappresenta se stesso è, come vediamo, un espediente molto utilizzato in pittura ed in fotografia. Crea una circolarità che rimbalza tra la copia e la copia della copia per riversarsi addosso al lettore.

Brassaï, group in a dance hall, 1932

Nella fotografia, Brassaï è tra gli autori che hanno messo in opera questa tecnica più frequentemente. Qui è mostrata una delle sue immagini più famose: rappresenta delle coppie sedute ai due lati di un tavolo, in un caffè di Montmartre; sono colte in un momento tra la noia e il divertimento. In questa immagine la situazione nello spazio ‘reale’ è raddoppiata dal suo riflesso nello spazio virtuale dello specchio, situato all’interno del campo fotografico. Lo specchio riflette non solo i personaggi che vediamo in primo piano, ma anche altri non direttamente inquadrati, ampliando lo spazio della visione.
L’espediente della messa en abyme mostra inoltre che le fotografie stesse sono immagini virtuali che non fanno che duplicare il mondo del reale. Anche i personaggi “reali” che vediamo nella foto, pertanto, sono né più né meno virtuali di quelli nello specchio, perché anche loro “riflessi” dallo “specchio” della macchina fotografica. In questo modo la superficie della fotografia, ponendo allo stesso livello i due gradi di realtà, “mostra” l’essenza stessa della rappresentazione fotografica, come Gumpp e Rockwell mostravano nelle loro rappresentazioni il procedimento stesso della rappresentazione pittorica.

Nel momento in cui produciamo una foto, abbiamo messo nella realtà una piccola copia di essa: la stessa fotografia è per Brassaï una mise en abyme.
Egli infatti amava ripetere: “Il surrealismo delle mie immagini non è altro che il reale reso fantastico dalla visione”. Cercavo solo di esprimere la realtà, in quanto niente è più surreale.” (Da una intervista pubblicata su Photo–Revue nel 1974). Un interessante articolo Craig Owens esplora il mondo abissale di Brassaï e può essere trovato qui: http://www.ecolemagasin.com/IMG/pdf/owens.pdf

Il potere della fotografia nella fotografia

Jakob Owens
Kenneth Josephson, Stato di New York, 1970
Guy Bourdin

Sopra una foto della serie Mise en Abyme, del famoso fotografo di moda Guy Bourdin. La serie accosta le fotografie a colori dei suoi servizi fotografici alle Polaroid in bianco e nero scattate per studiare l’ambientazione e preparare il lavoro.

Studio Hipgnosis, Copertina album Ummagumma, Pink Floyd, 1969
Martin Schoeller, George Clooney
Vivian Mayer, self portraits

Vivian Mayer fa uso di questa soluzione espressiva in molti dei suoi autoritratti nei quali, non solo la sua immagine riflessa, ma anche la sua ombra si rincorrono in una staffetta tra reale e virtuale.

Concludo, per così dire, con un’immagine della serie Vera fotografia, di Mimmo Iodice che mette in opera una Mise en abyme molto sottile scrivendo le parole “Vera fotografia” con una penna reale, in blu, sulla fotografia della sua mano che scrive su un foglio.

Mimmo Iodice, Vera fotografia

Bruno Manunza

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