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Category: Storie…

Intersezioni. Commento ad una foto di Paolo Enrico.

Il livello dei contenuti o, come in qualche caso avrebbe detto John Szarkowsky: “The thing itself”, il soggetto, la cosa in sè.

Una piccola piazza, a Milano, un giorno grigio e piovoso, come si deduce dal’abbigliamento delle poche persone nella foto e dall’ombrello aperto in primo piano, una fontana a più getti (ancora acqua) bagna un grande parallelepipedo in vetro, trasparente, che invade la scena centralmente occupandone la quasi totalità. Un moderno palazzo, in vetro cemento molto squadrato, al centro della foto, fa da sfondo e, di lato, fanno ala le palazzine ai bordi della piazza. Sulla sinistra un grande manifesto con un volto maschile che guarda davanti a sè; sulla destra dell’immagine la pubblicità di un’automobile si riflette sulla grande vetrata trasparente, mostrando una figura di donna ed una vettura. Un livello ricco di elementi e di dettagli rivelatori (… ancora Szarkowsky).

Il livello plastico.

L’immagine presenta un piano di simmetria verticale che la divide in due metà quasi equivalenti, inoltre la fotografia contiene una serie di elementi ricorsivi che ritmano la sua lettura: le linee verticali dei getti della fontana, e quelle sull’edificio posteriore, spingono lo sguardo verso l’alto e scandiscono l’inquadratura da sinistra a destra. Da sinistra e da destra, le fughe delle linee prospettiche sugli edifici laterali spingono verso il centro dell’immagine con una forte azione dinamica.

Come evidenziato negli schemi seguenti la diagonale discendente unisce il volto nel manifesto pubblicitario  con il passante in basso a destra generando un senso di interazione mentre la diagonale ascendente incornicia i due passanti in primo piano, peraltro collocanti sulla linea dei terzi di sinistra. Le due linee dei terzi di sinistra e destra delimitano l’edificio al centro in maniera rigorosa, i getti della fontana sono limitati, in alto, dalla mediana orizzontale. Il risultato è un posizionamento degli elementi della scena sapiente e molto ben organizzato.

Quando poi l’immagine è confontata con la geometria della spirale aurea vediamo che questa, avvolgendosi ricomprende gli elementi umani della scena trovando poi il suo punto di massima attrazione nella coppia in primo piano. Il triangolo aureo (linee azzurre), quel particolare triangolo che si forma tracciando dagli spigoli dell’inquadratura la perpendicolare alle diagonali del rettangolo, guida direttamente dal volto in alto nel manifesto alle figure in primo piano con l’ombrello.

L’immagine sfrutta la presenza di una serie di piani paralleli non ostrusivi (fontana, struttura in cristallo) per definire profondità e distanze, le linee di fuga degli edifici rendono recessivo lo spazio della fotografia attraendoci verso lo sfondo. Ancora, le linee tracciate dalla direzione dei movimenti e dei camminamenti stabiliscono una direzione privilegiata, da sinistra a destra, quella dell’ingresso. Globalmente una  immagine che trascina lo sguardo nella sua esplorazione.

La cromia. I toni sono freddi o grigi. Tutte le figure sono scure. Le uniche note calde, che agiscono da attrattori, sono nel riflesso della pubblicità in alto sulla superficie di vetro e nella vetrina in basso a destra verso cui sembra dirigersi la figura solitaria sulla destra della scena.

Lo spazio mentale

Ci troviamo in uno spazio aperto urbano, grigio e piovoso come suggerisce l’ombrello aperto in primo piano. L’acqua dai getti della fontana, rafforza questa sensazione. Rare figure si muovono, reali e inespressive, in questo spazio, senza nessuna interazione con l’osservatore o tra loro. Gli unici agganci avvengono virtualmente attraverso lo sguardo della figura sul manifesto e quello della donna nella pubblicità dell’auto, che appare rivolta verso di noi, confusa nei riflessi sul vetro. Dobbiamo cercare contatto e ingaggio in un mondo posticcio reale che, dall’alto sembra sorvegliare e controllare i pochi abitanti della scena che l’attraversano fuggevolmente, diretti altrove. Le icone della pubblicità vi giganteggiano e la abitano in permanenza. Loro sembrano i veri padroni del luogo. Un luogo irreale quasi fantascientifico che richiama alla mente altre immagini con altre icone che controllano dall’alto e cercano un dialogo con noi. Una citazione per tutte, tratta da Blade Runner (il primo) che penso Paolo Enrico apprezzerà…

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Figure nel mistero. Commento ad una fotografia di Estella

Analisi di Senza Titolo, di Estella.

  • Il piano figurativo. Poiché la fotografia è proposta tramite la rete, il piano fisico è dato per scontato e piano; su di esso l’autore non ha margini per intervenire. L’analisi quindi inizia dal livello dei contenuti. La foto è a colori, senza evidenti modifiche dei colori originali. Una figura apparentemente infantile, un bambino?, con indosso una giacca gialla con cappuccio, si staglia, nella parte alta del fotogramma, contro un rettangolo di cielo azzurro. Guarda in camera. Ai suoi piedi una lunga striscia di mattonelle forma una sorta di passerella che si estende per i 5/6 del fotogramma guidando dal margine basso sino al soggetto in alto. Alla destra del soggetto, le sagome di due lampioni sembrano echeggiarlo. La luce decisa proviene dalla destra, bassa, e mette in evidenza la scultura delle mattonelle accentuandone la sensazione di consistenza.
  • Il livello plastico, piano visuale. L’immagine presenta una forte simmetria bilaterale con destra e sinistra che si specchiano l’una nell’altra. Fa eccezione la presenza dei due fanali in alto sulla destra e l’asimmetria delle ombre, la scena infatti è illuminata con decisione dalla luce solare proveniente da destra. Orizzontalmente l’immagine  è divisa in due fasce, la parte bassa, con il tracciato delle mattonelle, che assume il tono caldo della luce solare; la parte alta, un sottile rettangolo azzurro, contrasta in maniera decisa, con il suo tono freddo. In questo campo il soggetto vestito di giallo crea un ulteriore motivo di contrasto che ne evidenzia la presenza. Le linee guida dei terzi (in rosso) separano tre bande verticali e tre orizzontali che corrispondono con buona approssimazione alle demarcazioni suggerite dagli elementi presenti. Con maggiore forza, le divisioni nella griglia della proporzione aurea (verde) stringono sulla fascia verticale  centrale, quella contenente il soggetto, e riprendono le forti demarcazioni visibili sul tracciato del pavimento. In questa ripartizione di spazi il rettangolo del cielo divide a metà il riquadro alto. Tutto considerato un posizionamento felice degli elementi della scena.

 

Le linee guida. La nostra attenzione è portata verso il soggetto dal percorso delle fughe prospettiche sul tracciato della pavimentazione. Queste producono una serie di linee di forza convergenti sul soggetto. Lo spazio nell’immagine è fortemente recessivo e ci trascina verso l’estremo alto, grazie ad una scelta appropriata del punto di presa. L’immagine in questo modo si caratterizza per il suo forte dinamismo.

Rime eidetiche, o rime visive. La solitudine del soggetto, che si presenta come un segno verticale isolato nell’asse mediano, è attenuata da due elementi verticali, due lampioni, che, a breve distanza, gli fanno il verso, compagni inanimati che danno la sensazione di osservarlo da presso.

  • Il piano mentale. L’immagine pone degli interrogativi che sembrano senza risposta. Le prime cose su cui la mente si interroga, osservando una fotografia, sono normalmente il quando, il dove, il perchè. La presenza forte della figura in alto nell’inquadratura, unica ed una, isolata ed evidente, che guarda verso di noi determinando coinvolgimento sembra sollecitare risposte. Una massima del giornalismo americano, insegnata a tutti gli allievi delle scuole, recita che ogni notizia deve rispondere alle cinque W: who, where, when, what e why: Chi, dove, quando, cosa e perchè. Abilmente il fotografo ci sottopone con forza questo corollario di domande lasciando a noi un tentativo di risposta, mostrandoci un mondo arcano, solitario, regolare e artificiale privo di qualsiasi elemento naturale, di interazioni edi azioni. Un mondo sospeso nel tempo, e suggestivamente mentale.  Il richiamo forte è all’arte metafisica e ai cantori della solitudine, De Chirico, Hopper… Viene quindi naturale l’associazione seguente con “Il grande metafisico” un dipinto di De Chirico del 1971. Grazie ad Estella per averci suggerito queste riflessioni.

Bruno Manunza.

 

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Volatori. Commento ad una foto di Fabrizio

Salve a tutti, profittando del tempo a disposizione, comincio a sviluppare un’idea che ho in mente da un po’: commentare qualcuna delle foto che postate nel gruppo. Spero l’idea non vi dispiaccia e, magari. vi incoraggi a esporvi. E’ un lavoro che ho già fatto in passato con qualcuna delle vostre foto e lo riprendo volentieri.

Comincio con la foto postata da Fabrizio qualche giorno fa. Seguiranno le altre. Se a Fabrizio non spiace posterò l’immagine nella pagina e nel blog di Squolafotografica, così che possa eventualmente condividere il commento. Cosa impossibile da questo gruppo.

  • Cominciamo con il livello figurativo: due elementi facilmente riconoscibili si stagliano in un campo omogeneo azzurro, il cielo. Un grande uccello in volo planato esibisce la sua silhouette accompagnando la sagoma di un a persona e del suo paracadute, anch’essi apparentemente in volo librato. Pochi elementi per un’immagine minimale ma densa di contenuti.
  • Il livello visuale o plastico. La foto presenta una cromia ridotta ai toni del blu, del nero, con un intromissione di toni molto caldi sull’ala del paracadute. Un minimo di toni che produce un contrasto cromatico pronunciato e sostiene l’attenzione e la tensione emotiva. Le due figure significative, l’uccello e l’uomo con il suo paracadute delineano tre diagonali che dividono il fotogramma in spazi pieni e vuoti a forma di trapezio che si ribaltano uno nell’altro creando simmetria nella scena.

  • gli elementi  nella foto, inoltre appaiono rispettare i classici canoni della proporzione aurea, collocandosi con buona approssimazione nel punto di attrazione della spirale, una soluzione questa, consapevole o meno, che denota un discreto gusto nel fotografo e sostiene bene il racconto.

  • Ben osservata anche la regola dei terzi con la figura dell’uono collocata lungo il terzo alto e l’ala del paracadute che percorre il terzo di sinistra mentre l’uccello approssima bene l’incrocio tra le linee alta e di destra dei terzi. la linea che unisce l’uomo al suo paracadute corre parallelamente alla diagonale discendente favorendo la sensazione di una discesa o di uno scivolamento verso il basso mentre l’uccello sembra quasi stazionario lungo la diagonale ascendente. Questo, in qualche modo sembra stabilire una gerarchia e contribuisce alla narrazione.

  • Sempre sul livello visivo va notata la presenza di una rima eidetica prodotta dalla ripetizione delle figure delle ali nei due soggetti. Questo fa entrare in gioco un’altra figura retorica importante e forte: la ripetizione.
  • Il piano mentale e le associazioni. L’immagine è giocata su alcuni contrasti, quindi la principale figura retorica associata è l’antinomia, giocata sul contrasto tra grande e piccolo, naturale e artificiale, uomo e animale, volatore e non volatore. Questo apre naturalmente lo spazio all’immaginazione del lettore. Una facile associazione è richiamata nella cultura occidentale dalla sfida rivolta da Icaro alla natura e in questa immagine l’associazione è richiamata con forza se si ripensa ad alcuni dipinti classici che raffigurano la leggenda di Icaro e Dedalo. Nell’immagine di seguito riprendo la rappresentazione realizzata nella bottega del Tintoretto attorno al ‘500.

Vi ringrazio e ringrazio Fabrizio per avermi dato l’occasione di questa lettura.

Bruno Manunza

 

 

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La chiusura di un cerchio, e altro.

 

Nonsolostelle2017 è appena finito, assieme a Marco Colombo ringrazio i partecipanti. Come sempre, durante questi workshop faccio 2-3 foto, non di più, e qualche scatto di backstage. Ho un commento sulle immagini che vi presento.

All’inizio degli anni ’90 cominciai a dedicarmi con intensità alla realizzazione di immagini fortemente ambientate con soggetti tipici della macrofotografia: insetti, altri invertebrati e piccoli vertebrati. In quegli anni le tecniche di ripresa e di illuminazione in queste consizioni erano tutte da mettere a punto. Non c’erano tanti esempi da imitare nè molti strumenti disponibili, le prime ottiche grandangolari con capacità macro erano degli ultragrandangoli Sigma. Nikon poi aveva in catalogo un anello di prolunga cortissimo (8mm) il PK11A che impiegavo con il 20 e il 16mm Nikon. Artigianalmente avevo modificato, allora, un Vivitar 19mm, rimuovendo il blocco della messa a fuoco. Potevo così focheggiare sino a far cascare a terra la lente frontale…

In particolare un servizio sull’edizione inglese del National (quella italiana ancora non c’era) mi aveva colpito, affascinato e motivato. Una delle foto interne mostrava una colorata scolopendra ambientata tra i muschi e le rocce di una foresta tropicale.

Molte delle foto che ho realizzato da allora sono finite sulle pagine di riviste di natura italiane ed estere, nelle mie mostre, nei miei libri e, in qualche caso, si sono aggiudicate qualche premio in concorsi internazionali e nazionali.

Ecc…. Se avete voglia di guardare qualcuna di quelle immagini potete dare una sbirciata sul mio sito: www.antasfoto.net

Erano soprattuto immagini diurne o crepuscolari, qualche volta subacquee. Le pellicole di allora e, successivamente, i primi sensori non permettevano di allargarsi troppo con le immagini notturne… Così oggi parlo di chiusura di un cerchio perchè ho avuto voglia di riprendere la tecnica che avevo da un po’ messo da parte per realizzare qualche notturno ambientato con alcuni soggetti incontrati in questi giorni: una cicala, ed un rospo smeraldino… Nei tre casi, la scelta della profondità di campo, come sempre, non è casuale 🙂

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Di notte tutti i gatti sono bigi. Le galassie anche.

Diversi anni fa, nel 2010, per la precisione, durante un Workshop che tenevo a Carloforte (Isola di San Pietro), nella sessione notturna feci qualche scatto alla via lattea con le Colonne come primo piano e alcuni faraglioni poco distanti dalla costa. Non era, la Via Lattea, allora un soggetto particolarmente inflazionato e la D3S permetteva di renderlo abbastanza bene. Poi, in un workshop queste cose piacciono. Ma non era questo l’argomento del post…

Lo scatto a sx mostra l’elaborazione del raw di allora, sette anni fa. Quasi rigorosamente monocromatico. I due successivi suno una rivisitazione del raw realizzata in questi giorni . Al centro una concessione (moderata) al gusto attuale, psichedelico e fantascientifico, a destra una gestione meno spinta e più rispettosa della fisiologia della nostra visione.

La retina umana, infatti, ha due tipi di recettori, i coni, attivi nella visione diurna e grazie ai quali percepiamo i colori, e i bastoncelli, che funzionano al buio e non sono sensibili ai colori. Questo il motivo del noto proverbio sul colore dei gatti di notte… al buio non distinguiamo i colori. E questo il motivo per cui molti scatti notturni sembrano invece diurni, il nostro cervello non riconosce quelle immagini come notturne perchè troppo colorate. La via lattea è un oggetto debolmente luminoso e non ne percepiamo i colori per questo motivo. Il sensore rivela e mostra una rappresentaziono distante da quello che siamo abituati a vedere.

Personalmente preferisco una descrizione più simile a quello che realmente si osserva in quelle condizioni, anche se l’impatto è inferiore. Ma, come mi capita di dire nei miei corsi, se la pietanza è troppo speziata, forse il cuoco sta cercando di dare sapore a qualcosa che non lo ha… o peggio

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Impressioni Impressions

Ho sempre amato le immagini morbide, cercando di sfuggire la nitidezza spesso opprimente e noiosa della foto documentaristica. E le ho impiegate nelle copertine di alcuni dei miei libri. Dai Mari della Sardegna è un libro fotografico del 2010, se la memoria non mi fa difetto… La foto fa esplodere il contraso tra il tono caldo della stella e il verde del posidonieto e della superfice dell’acqua. Un effetto ottenuto pinneggiando rapidamente durante lo scatto, e con molti tentativi… Il più bel complimento per la foto mi fu fatto, durante una delle presentazioni del libro da un subacqueo di Alghero. Alla fine della proiezione prese la parola per dire che sott’acqua, per lui, era proprio così.  Anche per me.

I have always loved soft pictures, trying to escape the often overwhelming and boring sharpness of the documentary photography. And I used them in the covers of some of my books. Dai Mari della Sardegna is a photographic book i published in 2010, if memory does not hurt me … The photo explodes the contrast between the warm tone of the star and the green of the posidonieto and the surface of the water. An effect gained quickly swimming while shooting, and with many attempts … The most beautiful compliment to the photo was made during one of the book presentations by a diver of Alghero. At the end of the projection he took the floor to say that underwater, for him, was just so. Me too.

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Tartarughe e buoi… di Bruno Manunza

Nonsolomacro. Una vera tartaruga palustre europea (Emys orbicularis) ripresa ambientata in quello che è il suo ambiente naturale: un torrente nel Sarcidano. Altri avrebbero ambientato una tartaruga azzannatrice della Luisiana in una pozza di scogliera dell’Asinara… ma noi siamo scienza, non scemenza. E conosciamo quello che fotografiamo. Quando fotografiamo una tartaruga come quando fotografiamo un bullone o la gente per la strada.

La foto è stata realizzata in una delle uscite di Nonsolomacro2017, nella zona di Laconi (OR), in Sardegna. L’incontro è stato piacevole, verrebbe da dire fortunato, ma in realtà quando si esce con regolarità in natura le cose è naturale incontrarle, senza dover per forza fare la spesa al petshop prima di andare nel bosco… Niente di male in questo. Ricordo che Attenborough, forse il più grande documentarista vivente, diceva che se vogliamo documentare l’accoppiamento notturno degli scorpioni nel deserto africano possiamo anche trascorrere un mese nel deserto e magari produrre pochi metri di ripresa scadente. Ma se allestiamo un ambiente controllato che riproduce quell’habitat e inseriamo alcune coppie, faremo senz’altro la ripresa. Certo un grande documentarista è animato da intenti scientifici e dal rispetto delle condizioni reali. E, a differenza di qualche fotografo improvvisato, non fa arrampicare uno scorpione che, per abitudine, preda al suolo su un ramo d’albero (salvo inondazioni)… a combattere improbabili battaglie da arena romana.

Ora, in risposta ad una considerazione che mi fu fatta tempo fa, preciso un paio di cose. Ho sviluppato e praticato l’uso di grandangolari molto spinti in macrofotografia negli anni ’90, lavorando in analogico e con obiettivi da me modificati. Quando si va così vicino ai soggetti un minimo di gestione è inevitabile. Per questo motivo non ho mai inviato questo tipo di scatto ad un concorso fotografico. Parto dal principio che: uno la giuria non sia fatta di sprovveduti (ma forse non è proprio così…) due non bisogna prendere per il culo gli altri concorrenti… In fondo non tutte le foto devono finire in un concorso. Possono essere destinate a un libro, ad una rivista, all’agenzia, ad una mostra… Eppure esibire il raw di questo scatto non comporta nessuna difficoltà e non rivela niente di più diquel che si vede… Diciamo questo: Se ci sono delle regole, riguardo la manipolazione, le tecniche di postproduzione, o quant’altro, rispettiamole. I concorsi non sono la parte più importante della fotografia (e sono stato premiato in parecchi). Poi come disse una volta uno di voi: non esiste il campione mondiale della fotografia. La fotografia non è come il lancio del giavellotto. Ma, soprattutto, non è uno sport competitivo.

Bruno Manunza

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Memorie

Ricordi…
Molti anni fa, quando iniziai la mia collaborazione con AQVA, rivista ormai scomparsa come, purtroppo, altre del settore, ricordo che l’editor delle immagini era Barbara Galli, dalla quale ricevetti alcuni consigli che ancora oggi guidano la mia attività fotografica. Una mattina, nella redazione, discutevamo di un servizio sui nudibranchi.
-I nudibranchi- lei disse- sono già belli per i fatti loro, vediamo di fare anche una bella fotografia ora…-
Tendiamo a trasferire il fascino del soggetto alla fotografia anche quando questa è banale… Letizia Battaglia, una grande fotografa di attualità, disse una volta:
“C’è gente che vede la foto – che so? – di una bella ragazza e dice: “Che bella foto!”. Capito che fesseria?“
Una grande verità 🙂
[foto da “Conchiglie Viventi ed altri molluschi marini del Mediterraneo”. Ed. Pubblinova 2016]

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Notturni

Anche il secondo turno del corso di fotografia di paesaggio è arrivato alla conclusione… e come sempre ho conosciuto persone piacevoli che, a loro volta si sono conosciute tra loro 🙂 Si finisce sempre con una fotografia notturna. Che è solo l’inizio… Grazie a tutti, partecipanti e interessati…

Bruno

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Una visione frammentata

La fotografia consente una rappresentazione estremamente varia del fluire del tempo. Tutto quello che accade negli istanti in cui l’otturatore rimane aperto condiziona la trasformazione che avviene sul sensore (oggi) o sull’emulsione sensibile (allora e oggi…). Questo si traduce in una grande varietà di possibili descrizioni della stessa scena mentre le cose accadono (o non accadono…). La fotografia consente però una ulteriore possibilità: la sovrapposizioni di istanti e di luoghi Attraverso la realizzazione di più pose sullo stesso fotogramma: un viaggio nello spaziotempo… o nel principio di indeterminazione.

Uso da tanti anni la tecnica dell’esposizione multipla, da prima dell’era digitale. Per lo più in camera, ma spesso in fase di postproduzione quando ho bisogno di un maggiore controllo. Mediterranea (ed. Pubblinova, 2005) è il primo libro in cui ho usato foto realizzate analogicamente con questa tecnica. In Arcipelago Verde (Pubblinova, 2013) ho poi usato la tecnica in maniera estensiva per raccontare il mondo vegetale. In alcuni casi le immagini acquistano un taglio impressionistico. La scelta era fondamentalmente legata al desiderio di sfuggire ad un tipo di fotografia di natura che, sempre più, assomigliava ad una raccolta di figurine, basata sull’ingrandimento e su una ricerca del dettaglio adatta più alle guide da campo che all’espressione personale.

Nel tempo ho utilizzato la tecnica per esprimere il senso di nevrosi e di schizofrenia prodotto da situzioni di sovraffollamento. Lo trovo molto appropriato in alcuni racconti urbani o comunque movimentati. CHAOS è un progetto che mette in evidenza i contrasti, le contraddizioni e lo stridore nella città. Nelle mie intenzioni deve trasmettere un senso di frammentazione e isolamento.

L’anno scorso, in un progetto esposto al BIFOTO2016, l’ho utilizzata per raccontare il sovraffollamento delle nostre coste in estate.

Spiaggia e bagnanti. 2014

Qualche altro esempio lo trovate sulle pagine del mio sito www.antasfoto.net e qua, di seguito

Foglie e alberi
Sassari, Candelieri 2015.
Gente, Alghero
Biciclette, 2014
Monte Limbara, Tempio, Sardegna, Italy Stazione radio  abbandonata. 2016
Monte Limbara, Tempio, Sardegna, Italy Stazione radio  abbandonata. 2016
Cascata
Albero. Goceano.2010
Silene sp. 2008
Fioritura 2000
Paesaggio Mores. Sardinia. Italy. 2015
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