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Il saggio. Lettura di un’immagine di Paola Fiori

Saggio. Di Paola Fiori


L’immagine mostra una serie di volti infantili. Intenti ad osservare qualcosa che avviene sulla destra, forse un saggio di danza, come suggerisce il titolo. L’espressione dei loro volti non mostra tanto divertimento quanto coinvolgimento, tensione ed una concentrazione quasi sofferta ed estatica. Tra loro, (il momento decisivo!) per un istante lo sguardo di una bambina abbandona lo spettacolo in corso e si fissa, in apparenza divertito, sul fotografo; è uno sguardo che ingaggia una relazione con il fotografo e, in subordine, con noi. Un aura di luce sembra avvolgere i volti dei tre bambini in primo piano al centro dell’inquadratura estraendoli e proiettandoli in avanti.
Sul piano plastico notiamo come l’uso del bianco nero accentua la forza delle espressioni sui visi, comprimendo verso i neri gli altri elementi della scena. La lieve riduzione della nitidezza sottolinea l’atmosfera un po’ fiabesca della foto.

L’inquadratura presenta un’asse di simmetria centrale ben riconoscibile ma pronunciatamente inclinato verso sinistra, al tempo stesso sono presenti elementi compositivi che conferiscono un forte dinamismo alla scena.

L’insieme dei volti forma una serie di rime eidetiche (evidenziate dai cerchi chiari nello schema a destra in basso) ben allineate lungo la griglia dei terzi e lungo le linee diagonali che conferiscono dinamicità all’inquadratura. Il volto tagliato all’estremità sinistra nulla toglie alla costruzione della fotografia e del racconto.  I volti delle tre bambine in primo piano sono collocati ai vertici del rettangolo aureo, il rettangolo interno della griglia dei terzi. Una composizione efficace e ineccepibile. Esemplare viene da dire.

Ancora, i volti dei cinque bambini in primo piano sono inscritti in una circonferenza, un cerchio ideale di coinvolgimento e coesione emotiva, a fare da satelliti a questo pianeta due volti più distanti, a sinistra e a destra. il diametro della circonferenza si prolunga fino a raggiungerli, unendoli al gruppo. L’asse  mediano del cerchio e il diametro risultano  angolati con decisione rispetto ai bordi della fotografia. Non un difetto bensì un esempio classico di inquadratura “olandese”, una scelta efficace per sottolineare la tensione dipinta su quei volti.

L’angolo olandese o piano olandese (Dutch angle o Dutch tilt) è una tecnica di ripresa usata nel nel cinema, in fotografia e in altre arti visive, che si ottiene con una decisa inclinazione laterale della macchina da presa o della fotocamera durante l’inquadratura, in modo che l’orizzonte risulti in diagonale rispetto ai bordi dell’immagine. Tale tecnica, introdotta agli inizi del ‘900 dal cinema espressionista tedesco, viene utilizzata quando si vuole rappresentare una situazione di disagio, tensione, alterazione dello stato di coscienza o squilibrio psicologico. Sul finire degli anni ’30, la tecnica fu adottata dai cineasti di Hollywood, che la ribattezzarono Dutch angle, facendo confusione tra la parola tedesca Deutsch, che significa “tedesco”, e la parola Dutch, che in inglese significa “olandese”.È nota in inglese anche come german angle, canted angle e Batman angle e in francese come plan débullé o plan cassé.

La direzione degli sguardi, salvo due eccezioni, ci porta da sinistra a destra con decisione, lasciando intuire come il centro dell’attenzione si trovi al di fuori dello spazio rappresentato. Siamo perfettamente consapevoli che, fuori dai confini dell’inquadratura il mondo continui e si svolga qualcosa di essenziale. Una inquadratura decisamente attiva, secondo la definizione introdotta da Stephen Shore, di cui abbiamo parlato spesso nei corsi di linguaggio.

Il “punctum” nella foto. Barthes, ne “La Camera Chiara” introduce un concetto: il Il punctum, in cui si materializza l’aspetto emotivo, ove lo spettatore viene irrazionalmente colpito da un dettaglio particolare della foto. Non è evidente in ogni foto e spesso è un elemento personale ma, in questa foto è immediatamente identificato negli occhi della bambina che guarda verso di noi. Un elemento di forte ingaggio e coinvolgimento.

Nell’arte quattrocentesca una figura era quasi sempre presente nelle rappresentazioni teatrali e pittoriche, il cosiddetto Ammonitore o “festaiuolo”, solitamente un cherubino o un angelo che, guardando verso il pubblico doveva fare da mediatore tra il mondo reale e quello rappresentato. Un esempio per tutti, a fianco all’immagine di Paola, una raffigurazione della Vergine fatta da Botticelli.

In tempi recenti, l’introduzione di questa figura nell’arte ha assunto il senso di un richiamo all’autore, quasi come se la figura dell’ammonitore (il festaiuolo), o di altre figure assimilabili, fosse stata usata dagli artisti per implicare anche un altro protagonista di primaria grandezza (oltre allo spettatore), seppur invisibile agli occhi.

Il piano mentale. L’autrice pone un punto di ancoraggio nel titolo della fotografia: “Il Saggio” vincolando così lo spazio della nostra fantasia e completando la sua descrizione.  Resta l’interrogativo Cosa? Cosa accade che, al di là della gabbia della inquadratura, suscita tanta tensione e, in qualche volto, quasi sofferenza ed estasi? Anche qui, sembra di trovarsi di fronte al mistero del sacro e del magico, come mostrato nell’immagine di Botticelli e in tante altre rappresentazioni dell’adorazione.

Come sempre, grazie a Paola  per averci dato questi spunti di riflessione.

Bruno Manunza

bruno@antasfoto.net

Published in letture foto

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